IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale emessa nel procedimento promosso da Catalano Giuseppe, Catalano Antonietta e De Blasi Clorinda (rappresentati e difesi dall'avv. Francesco Paolo Ruisi del foro di Trapani) contro l'avv. Giuseppe Gruppuso, nella qualita' di curatore del fallimento di Calamia Rocco (rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Bambina del foro di Trapani); Premesso: a) che con ordinanza del 14 dicembre 1986 l'odierno decidente - in qualita' di magistrato applicato presso la pretura di Alcamo - definiva un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo a crediti per prestazioni professionali promosso da tale Modesto Nicolo' nei confronti dell'avv. Francesco Paolo Ruisi del foro di Trapani (che in questo giudizio e' procuratore degli attori); b) che il 7 settembre 1992 il nominato procuratore notificava allo scrivente atto di citazione a comparire per l'udienza del 20 marzo 1993 innanzi al giudice conciliatore di Alcamo, promuovendo azione di risarcimento danni per talune affermazioni contenute nella menzionata ordinanza del 14 dicembre 1986, ritenute lesive della sua dignita' professionale; c) che il 15 settembre successivo l'avv. Ruisi depositava presso la cancelleria della sezione distaccata di Alcamo una istanza di ricusazione, ove tuttavia specificava che detta istanza doveva ritenersi subordinata all'esercizio del potere-dovere di astensione dell'odierno decidente; e cio' con riferimento a tutte le circa sessanta controversie in cui lo stesso procuratore e' interessato presso questa sezione distaccata di Pretura (ivi compresa la presente controversia promossa con citazione del 17 giugno 1992 con cui gli attori hanno chiesto la convalida di licenza per finita locazione intimata con riferimento ad un immobile di loro proprieta' sito in Alcamo nel corso 6 aprile n. 158; cui il convenuto ha resistito con comparsa di costituzione depositata all'udienza di prima comparizione); d) che all'udienza del 17 settembre questo pretore ha dato atto alle parti delle menzionate circostanza, riservandosi di adottare i provvedimenti conseguenziali; O S S E R V A Ai sensi dell'art. 51, primo comma, n. 3, del c.p.c. "il giudice ha l'obbligo di astenersi .. se egli stesso .. ha causa pendente .. con una delle parti o alcuno dei suoi difensori" e tale norma - a seguito della descritta iniziativa giudiziaria - andrebbe applicata nella presente fattispecie. Senonche', la menzionata disposizione di legge - nella misura in cui prescrivo un obbligo di astensione senza alcuna possibilita' di sottoporre a valutazione la manifesta inammissibilita' o la manifesta infondatezza dell'azione promossa contro il giudicante - presenta profili di illegittimita' costituzionale che questo pretore ritiene di sollevare d'ufficio ex art. 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Invero, l'automaticita' dell'obbligo di astensione espone il giudice ad iniziative giudiziarie che - a nulla rilevando se ictu oculi inammissibili, infondate o strumentalmente avanzate innanzi un giudice incompetente con udienza a comparire lontana nel tempo - offrono l'opportunita' di paralizzare momentaneamente la giurisdizione e, quindi, di ottenere la sostituzione del giudice non gradito. Con effetti dirompenti soprattutto nelle piccole sedi giudiziarie e, particolarmente quelle periferiche ove - ad iniziativa di un singolo difensore che sia anche procuratore costituito in un numero di controversie percentualmente non irrilevante - viene a determinarsi una situazione di grave turbamento e di difficolta' organizzativa dell'intero ufficio; dovendosi provvedere ad una variazione tabellare con creazione di un "ruolo speciale", da affidarsi ad altro magistrato, ove far confluire tutte le cause in cui e' interessato il legale che ha ritenuto di citare per danni il giudice assegnato alla sede distaccata, nonche' - per ragioni di opportunita' - le cause in cui sono interessati i legali che svolgono in sede le funzioni di conciliatore. E tutto cio' senza sottacere dei rischi connessi alla creazione di un precedente che, nella stessa o in altra sede, potrebbe indurre altri difensori o altri privati cittadini ad iniziative tanto infondate quanto funzionali a paralizzare ora questo giudice delegato ai fallimenti, ora questo pretore del lavoro, ora questo giudice delle locazioni (e cosi' via); e cio' per parecchi mesi o addirittura per qualche anno ed, in taluni casi - come conseguenza dei tempi di sostituzione del giudice necessariamente astenutosi - con il determinarsi di un pregiudizio irreparabile per taluna delle parti in causa o per i terzi (si pensi ai creditori interessati ad una dichiarazione di fallimento). La problematica connessa ai rimedi apprestati dall'ordinamento per proteggere la giurisdizione da iniziative temerarie - funzionali sia nella loro astratta esperibilita' che nella loro concreta attivazione a minare in radice i valori dell'indipendenza e dell'autonomia di ogni singolo giudice - si e' sviluppata nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale e nelle soluzioni legislative con riferimento al tema della responsabilita' civile del giudice per fatti relativi all'esercizio della giurisdizione. In un tale contesto ed in una tale prospettiva ordinamentale il rimedio apprestato e' stato quello di precostituire un meccanismo di "filtro" della domanda giudiziale, diretta a far valer la responsabilita' civile del giudice: e cio' perche' un controllo preliminare (e, pertanto, assai veloce) della non manifesta inammissibilita'o della non manifesta infondatezza porta ad escludere o, comunque, a scoraggiare azioni temerarie ed intimidatorie e garantisce, pertanto, la protezione dei valori di indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale sanciti negli artt. 101 e ss. della Costituzione. Tale meccanismo di filtro era rappresentato fino a qualche anno fa dall'autorizzazione ministeriale ed, in ogni caso, era poi la Corte di cassazione a designare il giudice competente a conoscere della domanda di risarcimento dei danni cagionati da un giudice nell'esercizio delle sue funzioni per dolo, frode o concussione (art. 55 e 56 del c.p.c.); mentre - a seguito dell'abrogazionereferendaria delle suddette disposizioni - la legge 13 aprile 1988, n. 117, oltre a stabilire che, in materia di responsabilita' civile del magistrato per fatti commessi nell'esercizio delle sue funzioni, unico legittimato passivo e' lo Stato e non anche il giudice, prevede altresi' una valutazione in camera di consiglio sulla non manifesta infondatezza della domanda. Inoltre, la valenza costituzionale del "filtro" di ammissibilita' dell'azione di responsabilita' del giudice e' stata ribadita dalla stessa Corte costituzionale che ha dichiarato la illegittimita' - per violazione degli artt. 3, 101 e segg. della Costituzione - dell'art. 19, secondo comma, della menzionata legge 13 aprile 1988, n. 117, nella parte in cui non prevede che il tribunale competente, con rito camerale e conseguente applicazione degli ordinari reclami ed impugnazioni, verifichi la non manifesta infondatezza della domanda ai fini dell'ammissibilita' dell'azione di responsabilita' nei confronti del magistrato promossa successivamente al 7 aprile 1988, per fatti anteriori al 16 aprile 1988, data di entrata in vigore della legge n. 117/1988 (Corte costituzionale 22 ottobre 1990, n. 468; ma anche, sulla valenza costituzionale del meccanismo di filtro, Corte costituzionale sentenze nn. 2/1968 e 26/1987). Il sistema si presenta, tuttavia, vulnerabile ove il giudice venga citato (in ipotesi temerariamente ed al solo scopo di farlo astenere) per fatti che non attengono all'esercizio della giurisdizione o ove, come nel caso in esame, venga adito - per conoscere di un'azione risarcitoria nei confronti di un giudice per fatti commessi nell'esercizio della funzione - un organo giudiziario non indicato nella speciale normativa in materia e che, comunque, a prescindere dalla competenza, potra' occuparsi della questione soltanto dopo parecchi mesi. Posto infatti che va esclusa - per evidenti ragioni di opportunita' - l'eventuale attivazione del giudice citato per l'anticipazione dell'udienza di trattazione (dovendo il problema, per la rilevanza degli interessi in giuoco, trovare soluzione in un ambito ordinamentale e non anche processuale) e che va escluso altresi' - per evidenti ragioni di tutela del prestigio della funzione - ogni ricorso a soluzioni accomodanti dal vago sapore transattivo, l'automaticita' della astensione si presenta cosi' come una anomalia del sistema, che verrebbe a premiare iniziative promosse al di fuori degli ordinari schemi procedurali. Effetto questo che si potrebbe senz'altro evitare ove fosse previsto - ai fini dell'astensione o meno del giudice citato - un meccanismo preliminare di valutazione della eventuale manifesta infondatezza o della eventuale manifesta inammissibilita' dell'azione nei confronti del giudicante attribuito - ad esempio - alla competenza del dirigente dell'ufficio o dell'autorita' giudiziaria superiore. Per contro, l'attuale prescrizione normativa di cui all'art. 51, primo comma, n. 3, del c.p.c. secondo cui il giudice che ha causa pendente con una parte o con un suo difensore deve in ogni caso astenersi - senza alcuna previsione di meccanismi di filtro come, ad esempio, quelli teste' segnalati - contrasta a giudizio di questo pretore con i principi dell'indipendenza e della autonomia della funzione giurisdizionale sanciti negli artt. 101 e segg. della Costituzione; altera gli ordinari criteri delle competenze compromettendo il significato dell'autogoverno della magistratura per cio' che attiene alla distribuzione degli affari all'interno dello stesso ufficio e cio' in contrasto con i principi sottesi all'art. 105 della Costituzione; determina vulnus del principio di non irragionevolezza implicato dall'art. 3 della Costituzione; e compromette il buon andamento dell'amministrazione della giustizia in una determinata sede giudiziaria ledendo il valore protetto dall'art. 97 della Costituzione. Una tale questione e' rilevante ai fini della definizione dell'odierno giudizio, non potendo questo proseguire se non previo dispiegarsi della procedura di astensione e di eventuale sostituzione (artt. 78 e 79 delle disposizioni di attuazione al c.p.c.); procedura questa, per contro, rimasta inceppata per le ragioni sopra esposte. Ed essendo la questione non manifestamente infondata gli atti devono essere rimessi alla Corte costituzionale.